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Quando andrò a scuola voglio raccontare alla maestra la Mia storia e com’è la scuola che ho inventato giocando, perché voglio continuarla con lei e con gli altri bambini."(da "La vita scolastica" : "La scuola dei bambini" di Mario Lodi)
Per aiutare gli alunni a raccontarsi – insegnando loro a saper cogliere e fermare i momenti più significativi- ci viene incontro Mario Lodi che, con la sua storia meravigliosa , aiuta gli alunni a ripercorrere la propria storia personale.
La storia di Mario Lodi – la sua favola bella - è un invito appetitoso alla scoperta e/o alla riscoperta del proprio passato : domandare , "investigare", cercare foto e documenti diventa, per ogni alunno, una necessità, un bisogno personale, un gioco divertente, uno stimolo a scorgere e rafforzare le proprie radici…per poi imparare a tendere i propri "rami" verso il cielo.
La maestra Rosalba
"Da tanto tempo volavo nello spazio infinito e misterioso dove stanno i bambini prima di nascere. E seguivo i genitori che io avevo scelto ma loro ancora non lo sapevano.
La notte dormivo su una piccola stella
e da lì mandavo raggi di luce :
uno per quella che desideravo come mamma e l’altro per il futuro papà.
Volevo che si incontrassero e che nascesse nel loro cuore il desiderio di un bambino: il desiderio di me.
Un giorno finalmente il sogno si è avverato. Era una domenica. Lei stava uscendo dalla chiesa e pioveva , ma non aveva un ombrello. Lui passava di lì e la vide, si avvicinò e le disse:
"Posso accompagnarla a casa?".
Lei accettò.
Mentre camminavano io li seguivo, sentivo le loro parole e capivo i loro pensieri. Lei aveva freddo e lui si tolse il giaccone e glielo mise sulle spalle. La mamma lo guardò e pensò:
"E’ gentile. E che begli occhi chiari ha. Mi piace.".
Davanti a casa si salutarono e per qualche tempo non si videro più.
Ma io li seguivo e un bel giorno si incontrarono nel parco. Si riconobbero, passeggiarono un po’ insieme, parlarono di tante cose, si scambiarono il numero di telefono e quella sera andarono a cena insieme.
Alla mamma piacevano gli occhi del papà perché sembravano due stelle marine. Ma soprattutto le piaceva quel suo modo gentile di parlare. Ogni tanto passeggiavano, andavano al cinema,
e parlavano.
Una sera si sono dati un bacio. In quel momento sono nato veramente io. Sono uscito dalla spazio misterioso e sono entrato nel loro cuore.
In una chiesa antica si sono sposati
e iniziò così la mia storia meravigliosa.
E un giorno ho capito che non ero più soltanto nel loro cuore.
Stavo nel corpo della mamma.
Là dentro stavo bene : sentivo i pensieri e le emozioni della mamma, e il suo cuore che batteva.
Era bello nuotare nel liquido caldo che mi avvolgeva. Là c’era tutto ciò che occorreva a un bambino piccolo che doveva crescere.
Io sentivo che un giorno sarei uscito a vedere il mondo di mamma e papà, ma non sapevo quando ,né come.
Ho capito che era giunta l’ora quando il mio nido di pace all’improvviso fu scosso da una specie di terremoto: le pareti mi stringevano e mi spingevano verso uno stretto corridoio che si apriva davanti a me. Spinto da ogni parte lo infilai e di colpo fui proiettato nel nuovo mondo. Vidi allora tanta luce, due mani che mi presero al volo e poco dopo…ero in braccio della mamma.
Mi piaceva il calore del suo corpo. E il sapore del latte che succhiavo dal suo seno morbido. E le voci intorno a me.
E tante altre cose belle che scoprivo un poco ogni giorno. Con gli occhi fissavo la luce delle cose e vedevo gli occhi di mamma e papà che mi guardavano e mi sorridevano . E anch’io feci un sorriso, il primo sorriso, che voleva dire : mi piace stare al mondo vicino a voi.
Un giorno una farfalla di tanti colori
fece un piccolo volo intorno al mio naso e io volevo prenderla, ma lei scappò.
Qualche volta sentivo dei suoni dolci, una musica che non sapevo da dove veniva, ma era nell’aria e mi piaceva ascoltarla.
Il mondo era pieno di cose belle e pensai che era tutto mio. E giocai a prenderlo.
Con le dita delle mani afferravo le cose: il naso della mamma,
il dito del papà, il cucchiaino della pappa ,la sponda del lettino, il campanello del passeggino.
Mi piaceva strappare la carta del giornale, tirare l’elastico.
Tutto quel che facevo era un gioco.
Prima di imparare a camminare sedevo nel passeggino e su quel trono stavo come un re.
Un giorno invece di strisciare sul tappeto del recinto, mi tirai su e rimasi in piedi. Provai e riprovai tante volte, prima da solo poi aiutato dalla mamma,
e ci riuscii. Camminavo ! Andavo in tutte le stanze a vedere il mio mondo. Imparare a camminare è stata una delle più grandi gioie della mia vita : salivo sui gradini della scala, cadevi e mi rialzavo, saltavo su e giù.
Un giorno imparai a pedalare sul triciclo.
Poi riuscii a girare la chiave nelle serrature, a lavarmi e a infilarmi le scarpe e le calze, a svitare il coperchio dei barattoli, a piantare i chiodi nel legno col martello.
Ma il piacere più grande era picchiare con il cucchiaio sui piatti e sulle pentole come strumenti musicali .
Non sapevo ancora parlare e per farmi capire piangevo. Allora giocai a scoprire le parole dei grandi. Quando venivano i parenti e parlavano,
io li ascoltavo e quello che dicevano lo ripetevo nella mente poi imitavo qualche parola. Ci riuscii e piano piano imparai a parlare. In principio non sapevo dire le parole esatte, allora me le inventavo e la mamma e il papà mi capivano. Chiamavo bu-bu il cane,
tu-tu il treno. Ella era la caramella e pappa il cibo. La mamma mi ha detto che il mio primo pensiero fu :
" Bu bu am pappa",
che voleva dire: "Il cane ha mangiato la pappa.".
Giocando imparai tante cose: quando volevo prendere l’acqua con le mani, lei fuggiva da ogni parte, invece la palla saltava e io la rincorrevo.
Quando papà e mamma mi mettevano nel seggiolino della bicicletta e pedalavo forte, sentivo l’aria sulla faccia e vedevo gli alberi lontani che scappavano via.
La prima estate che siamo andati al mare volevo sapere perché i sassolini andavano a fondo mentre la nave, che è grossa come una casa, stava a galla. Volevo tenere la palla sott’acqua, ma appena la lasciavo lei mi scappava dalle mani.
Perché? Perché gli uccelli volano ed io no? Perché i fiori sono colorati? Perché piove? Perché di notte co sono le stelle? Perché…perché. La mamma mi diceva : "Tu hai inventato la scuola dei perché. Vuoi sapere tutto. Vuoi toccare tutto.". Poi aggiungeva: "La tua scuola è bella perché impari giocando e leggi il libro più bello e grande che c’è .". "Quale libro?", le chiedevo. E lei mi spiegava : "Il mondo:le sue pagine sono il cielo, l’acqua, la terra, i fiori, gli alberi, gli animali, le persone .".Io l’ascoltavo incantato come se mi raccontasse una favola. Ed invece era tutto vero.
Il cielo lo guardavo nelle pozzanghere, dove vedevo i giochi delle nuvole rimaste dopo la pioggia.
C’era una piccola nuvola bianca che pareva una pecorella smarrita. Dopo un po’ spariva e diventava lunga e sottile come un tappeto volante. Poi il tappeto volava dentro una nuvola grigia e si abbracciavano. Anche le nuvole giocavano.
Nel cortile trovai una montagnola di terra. Era un formicaio . C’era una porticina e da lì uscivano le formiche e io le guardavo. Camminavano in fretta, avanzavano in fila indiana. Dove andavano? Le seguivo nella foresta delle erbe, tra i sassi del sentiero. Si arrampicavano sui tronchi degli alberi,
salivano sui rami, andavano,andavano…ma dove? e perché?
Quando pioveva sparivano nella loro città, ma appena tornava il sole… eccole di nuovo lì ! Spesso portavano fuori dal formicaio dei piccoli ovetti bianchi. Gli facevano prendere il sole e la sera li riportavano dentro. Dentro e fuori… che lavoro! Poi nascevano le formichine, piccole e svelte, che andavano anche loro dappertutto. Forse giocavano a fare lunghe passeggiate o le corse.
La gatta partorì e io seguii la crescita dei micini.
Prima avevano gli occhi chiusi e stavano sempre nel cesto a dormire, abbracciati. Ogni tanto arrivava la mamma e loro succhiavano il latte. Poi cominciarono a uscire nel cortile, che era il loro mondo : rincorrevano le lucertole, giocavano con le loro code, facevano la lotta per finta.
Diventati grandi, giravano nel prato a caccia di farfalle.
Un gattino catturò un topolino e, invece di mangiarlo, giocava.
Una volta trovai un pennarello e cominciai a tracciare segni e a raccontare con il gioco delle linee e dei colori quel che io sapevo del mondo : la mia casa dentro e fuori, le macchine, il sole, la nave , la mamma.
La mamma guardava i miei scarabocchi e diceva : "Sei bravo.".
Il papà me li faceva raccontare e io gli dicevo quello che avevo disegnato. Ero felice. Avevo scelto i genitori giusti e ora, insieme a loro, diventavo grande.
Quando andrò a scuola voglio raccontare alle maestre la mia storia e com’è la scuola che ho inventato giocando , perché voglio continuarla con lei e con gli altri bambini.
Mario Lodi , maestro e scrittore
Io Mario Lodi lo immagino così.....
Tutti i disegni che illustrano la storia meravigliosadi Mario Lodi,
sono stati raccolti e appesi nella parete dell'aula-laboratorio