Lettera aperta ad Antonio Padellaro

 

Gentile Direttore Padellaro,

il suo "Lettera sui talebani", pubblicato ne L’Unità del 1 luglio, è il classico articolo che – nonostante l’afa e la ricerca, quasi spasmodica, di un po’ di refrigerio -, da forza al passo e invita ( o costringe?) ad una risposta .

So bene che la mia lettera aperta non troverà spazio e probabilmente verrà cestinata . Ma, per fortuna, c’è Internet ed anche i pensieri , l’entusiasmo o l’indignazione dei "non famosi" possono viaggiare ed arrivare al cuore, alla mente e (perché no?) allo stomaco del lettore sconosciuto.

Per questo scrivo . Scrivere a me stessa le considerazioni del giorno sarebbe giustificato se fossi un’adolescente. Ma non lo sono più da tante primavere. E’ il dialogo che cerco , non lo sfogo solitario in un foglio bianco.

Posso essere sincera? Il Suo articolo mi ha non dico indignato, ma deluso. Molto. Se fosse mancata la firma, avrei pensato , quale autore, a un bel personaggio di destra.

La delusione provata è tale e tanta da aver timore di non riuscire a dire la mia con la necessaria serenità…quella che spesso serve, in un dialogo, per non passare dalla parte del torto anche qualora si dovessero utilizzare argomenti validi.

Ci proverò ugualmente…

Premetto di non aver letto l’articolo che Lei cita "Cari otto, così ritornano i talebani". Comunque, già il titolo non è dei migliori, considerato il fatto che i Talebani in Afganistan c’erano e ci sono ancora, nonostante i cinque anni di guerra. O vogliamo far finta di niente?

Detto questo, mi riallaccio all’interrogativo che Lei si pone, nel riferirsi agli otto senatori dell’Unione decisi a votare contro il rifinanziamento delle nostre missioni all’estero :

" Come è possibile che otto brave persone , otto stimati parlamentari, otto convinti pacifisti sicuramente animati da una profonda e nobile avversione nei confronti della guerra ( di tutte le guerre) non si rendano conto delle conseguenze di ciò che vanno sostenendo?".

E poi ancora, dopo l’elenco delle ragioni degli otto – ed è la frase che maggiormente mi ha indignato – Lei scrive : "Tutti ragionamenti legittimi, ancorché legati a una visione radicale dei problemi a cui però manca qualche cosa. Il destino del popolo afgano…".

Lei, Direttore, pensa davvero che "quelle otto brave persone", e tutti coloro che, come me, pensano ad altre soluzioni che non siano interventi armati più o meno autorizzati o guerre di aggressione capaci solo di seminare morte e distruzione per periodi spesso lunghissimi, non pensino ? Non abbiano a mente - come in questo caso -anche e soprattutto il destino del popolo afgano?

Lei crede davvero che non siano capaci di vedere il problema nella sua globalità?

Non riescano a distinguere i pro dai contro?

Siano, insomma, degli sprovveduti o degli ingenui?

E’ proprio perché abbiamo a cuore la sorte dei popoli oppressi che lottiamo affinché non vengano ulteriormente oppressi dalle guerre. E’ così difficile il concetto?

Personalizzo , per un bisogno di sintesi, la questione della quale Lei parla nel suo articolo. Se io avessi fatto parte della maggioranza, come mi sarei comportata? La risposta probabilmente la stupirà. Avrei dato il mio voto per il rifinanziamento "per non mettere in gioco – come Lei scrive citando D’Alema – la nostra credibilità internazionale?".

Niente affatto .

Avrei detto, dopo essermi guardata intorno, il mio "si" sofferto per un motivo molto più serio : per evitare che l’Italia corra il rischio di essere ri-governata da una destra che mi fa paura e che dovrebbe preoccupare tutti.

Ma avrei fatto il mio discorso perché sono convinta che le parole abbiano un senso e un peso.

Avrei rimarcato il fatto che i problemi del mondo NON si risolvono bombardandolo, che la miseria e l’ingiustizia non si risolvono ignorandole o limitandosi a cancellare i debiti .

L’avrei fatto…e come!

E con convinzione . La stessa che un buon padre di famiglia mette nel suo dialogo coi figli quando li invita a guardare e riflettere su ciò che è giusto e legittimo e ciò che non lo è… in modo che possano , poi , fare una scelta consapevole che conduca all’incontro con l’altro, non allo scontro.

Che richiama la tolleranza, all’occorrenza .

E la mediazione. E le mille altre possibilità che possono esserci – e ci sono - oltre i "pugni in faccia" all’avversario. O al nemico che, di volta in volta, ci inventiamo per rafforzare i nostri interessi e i nostri egoismi travestiti di parole belle e sante.

Lei crede davvero, Direttore, che l’Uomo - che è riuscito ad arrivare negli anfratti più nascosti del cielo, non sia capace, soltanto se lo volesse , di partorire soluzioni diverse dall’intervento armato per risolvere le controversie internazionali ?

Lei scrive ancora : "Chi non vuole sentire ragioni difficilmente coglierà le tante differenze tra le due situazioni". Il riferimento è alle guerre in corso in Iraq ed Afganistan.

Mi permetta : a parte il fatto che a me paiono entrambe due guerre di aggressione , qui non si tratta di scegliere quale delle due sia più legittima. Ma di affermare a gran voce che è assurdo, oggi, fare ricorso alla guerra come soluzione.

Padre Ernesto Balducci , anni addietro, scriveva che qualora dovesse fermarsi il commercio delle armi, si fermerebbe l’intera economia mondiale. Probabilmente è vero. Ma Balducci invitava anche ad un capovolgimento radicale e pacifico dello stato di

fatto ; era capace di far intravedere una società possibile, fatta di idee nuove, di progetti nuovi, dove tutte le nazioni del mondo si dovranno confrontare non sull’asse verticale del loro potere e delle loro certezze, ma sull’orizzontale dell’uomo.

Qualora , invece, si dovesse continuare ad elencare stati canaglia, ad importare la nostra idea di democrazia, a realizzare i nostri bei progetti armati ora di mine anti-uomo ora di bombe al fosforo, il problema non sarà quello del destino del popolo afgano, ma sarà un problema che riguarderà me, Lei, i nostri figli, gli altri. Nessuno escluso.

Saremo capaci di preparare la nostra distruzione oppure volteremo pagina per tentare di costruire un mondo diverso attraverso il dialogo, ponendo come priorità l’eliminazione delle ingiustizie, che creano miseria e morte, e il ristabilimento del diritto per evitare che anche la "terza torre" della quale parla Giulia Fossà – che è , appunto, quella dei diritti – crolli anch’essa a causa delle nostre contraddizioni ed errori?

Queste cose avrei detto…

E poi avrei votato a denti stretti per il rifinanziamento delle missioni.

Per non cedere l’Italia al buio.

Per poter parlare ancora. E ancora combattere , con l’esempio di vita e con l’arma della parola, per un mondo di cittadini e non di sudditi.

Per poter ancora dire "no" all’occorrenza… nella certezza che prima o poi si imparerà a mettere le cose a posto e a considerare la guerra un tabù.

Mi piace salutarla con un pensiero di padre Ernesto Balducci :

"Un No di una coscienza sdegnata è straordinario, come un Si di una persona innamorata.".

Mi piace pensare che, prima o poi, questo No diventi un coro, e perciò una forza. Enorme. Potente.

Cordialmente.

 

rosalbasatta@tiscali.it

 

Risposta di Antonio Padellaro :

 

"La ringrazio. Lei dice cose di grande profondità. Ma resto della mia opinione."


Antonio Padellaro